Sono nata con una malattia genetica rara chiamata displasia-ectodermica. Ai miei piedi e alle mani mancano alcune dita, fino a poco tempo fa non avevo diversi denti e a soli 24 anni ho già subito sette operazioni.
Presto dovrò probabilmente sottopormi a un altro intervento per riaprire, un’ennesima volta, i dotti lacrimali. Ma ormai mi sono abituata.
Alla nascita ero priva dei canali lacrimali, che sono stati subito ricostruiti, ma a causa della particolare consistenza delle mie mucose sono costretta periodicamente a farli riaprire chirurgicamente per evitare tutte quelle infezioni che mi hanno tormentata quando ero piccola.
Fin dall’asilo, ho passato molto tempo tra un ospedale e l’altro ma i medici non sapevano proprio come curarmi. Ricordo ancora quando per la prima volta mi dissero «ti dovremo operare», fu un vero shock per me perché, nonostante la tenera età , avevo capito cosa significavano veramente quelle parole. La malattia mi è stata diagnosticata solo all’età di cinque anni dalla dottoressa Maiorana, una dentista dell’Ospedale Civile di Brescia.
Non poter mai sorridere senza essere costretta a mostrare a tutti «qualcosa che non va»: è questo quello che mi ha fatto più soffrire della malattia. Perfino più del dolore fisico provocato dagli interventi e della fatica per recuperare, ogni volta, gli infiniti giorni di scuola persi.
Ma grazie al Progetto Displasia Ectodermica che la Fondazione Andi -Associazione nazionale dentisti italiani onlus porta avanti con l’Ande (Associazione nazionale displasia ectodermica) ho risolto questo problema. A 14 anni sono stata indirizzata dal dottor Mancini che ha curato l’aspetto ortodontico con vari tipi di apparecchio dentale. E a 20 anni finalmente l’implantologia con il dottor Grecchi e il dottor Pagliani.
Ho passato la mia vita ad attendere quel fatidico momento, un traguardo pieno di aspettative, paure, che sembrava non arrivare mai. Parte di un osso della mandibola è stata prelevata e reimpiantata, e dove mancavano i denti sono state apposte delle viti. All’ultimo anno di liceo classico, tra questo intervento e l’impianto definitivo, a pochi mesi dall’esame di Stato, ero un’adolescente che non voleva più uscire di casa. Ma i denti provvisori non hanno tardato ad arrivare, i medici infatti avevano capito perfettamente il mio profondo disagio. E in questo frangente ho trovato persino l’amore e mi sono fidanzata.
Sono stata una delle prime pazienti affette da displasia a essersi sottoposta a implantologia e questo, oggi, mi ha permesso finalmente di vivere felice e di esprimermi liberamente. La malattia è stata uno stimolo a fare di più e a tentare sempre di raggiungere tutti i miei obiettivi come, per esempio, laurearmi in matematica.
Facendo l’Università a Trento, sola e lontana un centinaio di chilometri dalla mia famiglia che vive a Goito (Mantova), tra continui controlli dall’otorino, dall’oculista e dal dentista, ho passato momenti difficili e devo ammettere di aver pensato più volte il primo anno di abbandonare gli studi. Ma la displasia mi ha anche insegnato a tenere duro.
I miei genitori, mia sorella e gli amici mi sono stati sempre molto vicini, spesso tentando di sdrammatizzare la situazione nei momenti più difficili. Mia mamma ha sempre ripetuto: «quando tutto sarà finito, faremo una grande festa!». E così è stato. Il 25 aprile 2010 per festeggiare la fine di 17 anni di cure dentistiche ho invitato a casa amici, partenti e medici e, per una delle prime volte nella mia vita, ho potuto sfoggiare il mio sorriso.
FONTE: https://www.ok-salute.it/le-vostre-storie/piu-forte-della-malattia-che-mi-aveva-tolto-il-sorriso/